L’invecchiamento “attivo” inizia da giovani: i dati di un’indagine Ocse

Disuguaglianze sociali in aumento, vita lavorativa che inizia sempre più tardi, mancanza di investimenti nell’invecchiamento attivo e nella salute in terza età, soprattutto in termini di prevenzione e long term care. Sono alcune delle tematiche affrontate nel volume “Prevenire l’invecchiamento in modo uniforme”, pubblicato di recente dall’Ocse – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
Il rapporto stilato dall’organismo internazionale di studi economici lancia l’allarme sulle nuove forme di disagio sociale che rischiano di colpire le generazioni che nel 2050 avranno più di 65 anni. E che non saranno poche, stando alle previsioni dell’organismo europeo: nel 2050 ci saranno 74 persone over65 su 100 – percentuale sensibilmente più alta rispetto al 38% di oggi- rendendo l’Italia il terzo Paese più vecchio nell’area Ocse, dopo il Giappone e la Spagna.
I problemi dei futuri anziani
Nel volume, i dati sull’invecchiamento vengono letti e interpretati alla luce delle disuguaglianze che si sviluppano nel corso della vita e si concretizzano drammaticamente all’affacciarsi della terza età. I “futuri” anziani – soprattutto quelli con redditi da pensione più bassi a causa dell’ingresso tardivo nel mondo del lavoro o di bassi livelli di istruzione – vivranno più a lungo, ma in condizioni di disagio e senza un’adeguata rete di welfare e assistenza.
In realtà, non bisogna attendere il limite temporale del 2050 preso in esame dall’Ocse per vedere che già oggi tanti anziani non hanno una buona qualità di vita.
E il nostro Paese, purtroppo, ne è un esempio. In Italia, secondo le ultime rilevazioni Istat, si contano 3,5 milioni di anziani over65 (il 10% della popolazione di ultrasessantacinquenni) che vivono in una condizione di “non autosufficienza quotidiana”: senza l’aiuto di una persona o l’ausilio di strumenti o, in casi estremi, di modifiche dell’abitazione, hanno difficoltà a svolgere semplici attività di cura, come vestirsi, mangiare da soli, sdraiarsi e alzarsi dal letto o da una poltrona, fare la doccia, salire una rampa di scale, svolgere lavori domestici leggeri.
A questi se ne aggiungono oltre 6 milioni con un livello più grave di difficoltà nelle attività domestiche, come preparare i pasti, usare il telefono, prendere le medicine, gestire i soldi. I dati spesso sono sovrapponibili, perché una persona anziana in molti casi ha più di una difficoltà. Un dato significativo da cui non si può prescindere nella valutazione dei livelli di assistenza, sia dal punto di vista sanitario sia nella vita di tutti i giorni.
Per quanto riguarda l’autonomia personale, secondo i dati Ocse, l’Italia ha una media che non si discosta molto da quella UE: il 3,3% di anziani tra i 65 e i 74 anni hanno difficoltà nelle attività di cura della persona, rispetto al 3,4% della media dei Paesi europei.
Le percentuali salgono con l’avanzare dell’età e arrivano al 19% degli anziani over75 in Italia, contro il 14% della media UE.
Una condizione di non autosufficienza, questa, che rischia di rimanere “invisibile” proprio perché in molti casi non vi sono handicap fisici evidenti. Ma le difficoltà nel gestire le più semplici attività domestiche rappresentano, giocoforza, limiti che non consentono una piena vita indipendente.
Le proposte di Ocse
Di fronte al quadro poco rassicurante dell’invecchiamento “presente e futuro” che coinvolge, seppure non in modo uniforme, tutti i Paesi dell’Unione, è sempre l’Ocse, a conclusione dell’indagine, a fornire input e suggerimenti. In primis, inserire gli interventi di prevenzione al vertice dell’agenda politica, con la creazione di una rete di protezione sociale che parta dall’infanzia e che si concentri poi nel miglioramento dei livelli di istruzione e nello sviluppo di buone politiche del lavoro.
Ancora, nella visione dell’Ocse, è necessario rompere i legami tra il disagio socioeconomico e le condizioni di salute, aumentando in maniera “saggia” la spesa sanitaria destinata alla prevenzione per determinati gruppi di popolazione soggetti a precisi fattori di rischio.
Infine, l’Ocse raccomanda di promuovere l’invecchiamento sano, attraverso un accesso equo all’assistenza sanitaria, un migliore coordinamento tra le varie discipline e un maggiore sviluppo delle specializzazioni mediche nel settore geriatrico.