Assistenza domiciliare e invecchiamento attivo

In che misura il sistema di domiciliarità, pilastro dell’assistenza di lungo termine, sarà in grado di far fronte alla crescente longevità della popolazione e ad un maggiore bisogno di cura? La domanda sta alla base della ricerca “Il diritto di invecchiare a casa propria. Problemi e prospettive della domiciliarità”, realizzata da Auser e Spi-Cgil.

L’indagine prende in esame i dati di Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Sicilia. Dai risultati emerge una situazione critica della domiciliarità futura in tutte le regioni, ma con problemi maggiori al sud.

Le criticità sono dovute a due fattori concomitanti: la crescita del numero di anziani bisognosi di cure e la diminuzione dei caregiver familiari. 

Un altro dato significativo emerso dalla ricerca è che in tutte le regioni, al crescere delle limitazioni funzionali, si riduce il riconoscimento delle indennità di accompagnamento e sono carenti i posti nelle Residenze Assistenziali Sanitarie. A fronte di una media Ocse di 30-60 posti ogni mille anziani, in Italia si raggiungono i 30 posti solo in Emilia-Romagna, mentre in Sicilia si riducono drasticamente a 5,5. 

Inadeguate anche le risorse per l’assistenza socio-sanitaria, con forti squilibri fra Nord e Sud: la spesa media di 96 euro pro capite oscilla dai 45 in Sicilia ai 113 in Toscana. In Sicilia tra il 2011 e il 2017 sono diminuite le colf (-17,2%) e sono cresciute le badanti (+58%), soprattutto italiane. 

Le previsioni per il futuro

In Italia si prevede che nel 2045 le persone over 65 saranno un terzo della popolazione. Tra queste aumentano gli anziani con limitazioni funzionali. Inoltre, rispetto agli anni Novanta, sono cresciuti i nuclei formati da una sola persona, mentre sono diminuite le coppie con figli. Ancora, le donne sono sempre più coinvolte nel mercato del lavoro: oggi il tasso di occupazione femminile in Italia è il 48,1%, ma la media europea è il 61,5% e, come si legge nella ricerca, “si comprende come il lavoro di cura in ambito familiare sia destinato a perdere il contributo di circa 2,5 milioni di donne”.

Altra criticità riguarda le abitazioni, in gran parte prive di ascensore e con la presenza di barriere architettoniche.

 “Questi dati sono di stimolo per la promozione di un dibattito politico sui temi della domiciliarità attualmente del tutto assente – spiega Claudio Falasca, curatore della ricerca – È invece assolutamente prioritario interrogarsi su come e quanto la domiciliarità sarà in grado di corrispondere al crescente invecchiamento della popolazione nel nostro Paese”.
  
Garantire la domiciliarità come diritto della persona, costruire nel tempo la buona longevità, riconoscere il lavoro di cura familiare, costruire reti di servizi di prossimità, qualificare la condizione abitativa, promuovere l’invecchiamento attivo come valore urbano generale: sono le proposte che emergono dalla ricerca, ma che non possono essere disgiunte da maggiori investimenti e da politiche di welfare mirate. 

 “Garantire un flusso di risorse adeguato a dare risposte alla crescente domanda di servizi per la non autosufficienza e per l’invecchiamento attivo è l’unica prospettiva che consentirà di valorizzare la risorsa anziani – conclude Falasca – contrastando l’idea che la long term care possa essere ridotta sempre più a mera erogazione di singole prestazioni e sempre meno ad una presa in carico complessiva della persona. Non tenere conto di questa esigenza produrrà nel tempo un triplo danno: insicurezza per l’anziano, impoverimento per le famiglie, indebitamento pubblico”.